Ricoveri antiaerei a Parma

Descrizione

E’ fatto obbligo agli enti o privati che costruiscono fabbricati destinati ad abitazione civile o popolare, di provvedere – a proprie spese – per l’adattamento a ricovero antiaereo di parte del sotterraneo o del seminterrato o, in mancanza, del pianterreno.
Art. 1 – Rdl 24 settembre 1936, n. 2121

Nel 1936 la legislazione italiana imponeva, per i fabbricati di nuova costruzione, di apprestare un ricovero (o rifugio) antiaereo. Queste strutture divennero però familiari agli italiani qualche anno dopo, con lo scoppio della Seconda guerra mondiale. Tra il giugno del 1940 e il maggio del  1945 quasi tutte le città italiane furono oggetto di bombardamenti, causando decine di migliaia di morti e danni inestimabili al patrimonio culturale e materiale del Paese.

Parma fu travolta da massicci bombardamenti a partire dalla primavera del 1944; la città nel frattempo si era preparata approntando una fitta rete di ricoveri pubblici e privati. Gli sforzi principali si erano concentrati nel corso del 1943, tradottisi nella costruzione e nell’ampliamento dei rifugi, nonostante la penuria di materiale edile.

Il 3 marzo 1943, il Comitato provinciale di protezione antiaerea comunicava attraverso la Gazzetta di Parma l’esistenza di 13 ricoveri pubblici, a cui si aggiungevano 4 trincee; si segnalava inoltre la presenza di 10 posti di pronto soccorso che sarebbero stati operativi dopo il “cessato allarme”.

Gazzetta di Parma, 3 marzo 1943.

Pochi giorni dopo, il 30 marzo, sempre la Gazzetta di Parma riportava un dato relativo ai ricoveri casalinghi censiti in città: 825 approvati, 525 da controllare. Nel luglio dello stesso anno, i rifugi pubblici erano diventati 16, inoltre molti dei “vecchi” erano stati ampliati. Il più grande era il R.1 Pilotta, situato nelle cantine dell’antico edificio, che poteva contenere fino a 1400 persone. Seguiva poi il R. 11 San Paolo, presso gli scantinati del  complesso di San Paolo, con accesso principale in strada Melloni, allora sede dell’Istituto magistrale Albertina Sanvitale, che aveva 1000 posti.

Gazzetta di Parma del 24 luglio 1943.

In quei mesi, in città le sirene che annunciava i bombardamenti risuonarono diverse volte, rivelandosi però sempre falsi allarmi. Pare, a quanto riferiva la Gazzetta, che i parmigiani prendessero poco sul serio queste operazioni, applicando blandamente le procedure previste in caso di allarme. L’11 luglio 1943, in un articolo si denunciava:

Durante i recenti allarmi aerei si è verificato che un numero rilevante di cittadini usciti dalle proprie abitazioni in luogo di recarsi nei ricoveri pubblici o casalinghi vicini, hanno preferito attardarsi nei viali e piazze periferiche della città o cercato di sostare sul lungo Parma per curiosità o nella presunzione di una maggiore sicurezza personale. Ciò è un gravissimo errore che commette la popolazione. […] Al primo segnale di allarme [si deve] affluire senza indugio ai ricoveri pubblici e casalinghi, od in ultima ipotesi per insufficienza di ricoveri ed offrendosene la possibilità, portarsi fuori nelle campagne, diradarsi il più possibile, non riunirsi a gruppi o a masse, stendersi a terra, ripararsi nei fossi per neutralizzare l’azione derivante dal soffio provocato dallo scoppio di bombe.

A sovrintendere e coordinare il funzionamento dei rifugi e i primi interventi di soccorso era stata predisposta l’Unione nazionale protezione antiaerea (Unpa), che a Parma ebbe per qualche tempo sede nell’attuale strada Repubblica 44.


Militi dell’Unpa a Parma dopo un bombardamento aereo.

Altri rifugi furono costruiti nei mesi successivi; in un altro elenco sono segnalati 24 ricoveri pubblici, sebbene sia possibile ipotizzare che entro la fine della guerra ne furono approntati altri. Tutti erano provvisti di luce elettrica, servizi igienici, acqua potabile, posti a sedere, cassetta di pronto soccorso e gestiti da appositi custodi. A causa dell’aumento di profughi e sfollati dalle province limitrofe, soprattutto dall’Appennino tosco-ligure, questa nuova massa di persone soleva usare i rifugi come dormitori oppure come sede dei propri traffici commerciali.

Dopo mesi di falsi allarmi, arrivarono anche a Parma i bombardamenti, che causarono morte e devastazione. Cinque le azioni maggiori, avvenute tra il 23 aprile e il 22 giugno 1944. A queste si aggiunsero decine di attacchi minori e mitragliamenti, che proseguirono fino all’aprile del 1945. I parmigiani sperimentarono numerose volte il suono dell’allarme e la fuga verso i rifugi. In questi luoghi, in attesa del cessato allarme alcuni socializzavano, altri attendevano ansiosamente il ritorno alle proprie occupazioni. Nei fatti, durante i grandi bombardamenti, nei rifugi si vivevano attimi di terrore: la terra tremava, rumori tremendi, polvere e pianti; mentre era diffuso il timore che le bombe centrassero in pieno l’edificio soprastante, seppellendo i rifugiati sotto le macerie. Uno testimonianza di quegli attimi terribili è riportata nel volume di Vittorio Barbieri, La popolazione civile di Parma nella guerra 40/45, dove sono raccolti i ricordi di un sacerdote relativi al bombardamento del 13 maggio 1944:

Io ero ritornato in Seminario Maggiore per ritirare gli effetti personali che vi avevo abbandonato in occasione del primo grande bombardamento. Ad un tratto udii l’allarme e mi precipita nel rifugio S. Giovanni, che non era molto affollato perché gran parte della gente aveva abbandonato la città ed era sfollata in campagna. Sentimmo il rifugio scuotersi come fosse agitato da un gigante, la luce venne a mancare e l’interno si riempì di polvere, mentre tutto continuava a vibrare minacciando di crollare ad ogni istante. Ci sentivamo soffocare senza poter fare assolutamente nulla; si verificarono scene di panico e svenimenti. Appena l’incursione fu passata mi precipitai fuori, respirai a pieni polmoni, per qualche minuto corsi a casa mia che era in campagna. Attraversavo la città come un automa, indifferente a tutto ciò che mi circondava, ancora traumatizzato dall’esperienza vissuta poco prima.

Non mancarono situazioni in cui i rifugi furono parzialmente danneggiati, come nel caso della Pilotta e dell’Asilo Guadagnini. Pare, infine, che il susseguirsi dei tanti bombardamenti e mitragliamenti, avesse provocato una reazione, nei parmigiani, sempre più distaccata, quasi abituatisi progressivamente all’offensiva aerea angloamericana, tanto da adottare sempre meno precauzioni in occasione del suono dell’allarme. Così almeno riporta la Gazzetta di Parma, che nel febbraio 1945 scrive:

La saldezza dei nervi di fronte ai pericoli di ogni genere che in questi tempi di guerra sono all’ordine del giorno, è indubbiamente un’ottima virtù, ma diviene qualità negativa ogni qualvolta degenera nell’incoscienza. Questa realtà si attaglia purtroppo a molti parmigiani i quali durante le incursioni a getto continuo, trascurano qualsiasi misura precauzionale e affollano le piazze, le strade, i viali periferici e magari le “verande” delle case, rimirando, naso all’insù, lo spettacolo degli aerei nemici che passano a volo rasente o scendono in picchiata per scaricare i loro ordigni micidiali, dimenticando i quotidiani episodi di cittadini che vengono ammazzati in ogni dove.

Oggi in città troviamo ancora segni materiali che ci ricordano l’esistenza di questi rifugi. Su alcuni muri sono visibili infatti le indicazioni dei ricoveri: il caso meglio conservato si trova in via Melloni; altri se ne possono vedere in Pilotta, in piazza Ghiaia, in via Cavour e in borgo del Correggio.

Indicazione relativa al R. 11, ancora visibile in via Melloni.