Testimonianza sopravvissuti della famiglia Furia, relativa al bombardamento del 30 marzo 1945, riportata in Barbieri, op. cit., p. 315-316:
Era il venerdì Santo ed anche noi subimmo la nostra passione. Giunsero tre o quattro aerei americani, ma avevano tanto picchiato su Fidenza nella mattinata che non pensammo neppure potessero infierire su queste quattro case insignificanti. Il deposito infatti era già stato bombardato nel gennaio ed ancora avevamo negli orecchi il fragore dello scoppio dello “speciale” n.17 che era stato centrato nonostante la mimetizzazione perfetta. Ci fu allora una confusione indescrivibile con la gente che si disperdeva in tutte le direzioni gridando ed i continui piccoli scoppi che si protrassero per delle ore: le case tremavano come per un forte terremoto riportando gravi lesioni e la rottura totale dei vetri. Forse le nostre case vennero scambiate per il laboratorio di caricamento, fatto sta che il minuscolo centro ove noi abitavamo venne completamente distrutto. Io mi stavo recando da mio fratello che abitava nella casa adiacente alla mia per parargli, ma mentre io salivo per una scala secondaria egli usciva dalla principale per cui non ci incontrammo. Allorché cominciarono a cadere le bombe egli venne sbattuto lontano dallo spostamento d’aria e ferito da alcune schegge. A provocare quel disastro fu in realtà una bomba solo caduta sopra una grossa pianta a pochi metri dalle abitazioni: le altre infatti caddero più lontano e non procurarono gravi danni. Furono particolarmente colpite le persone che si trovavano all’aperto anche se quelli come me che erano in casa, patirono ferite non trascurabili ed anzi il Fontanesi ci rimise la vita. Egli si trovava nel suo letto e morì a causa dello spostamento d’aria che gli lesionò i polmoni; sua moglie, che era con me, riportò soltanto qualche leggera ferita. Nonostante io avessi riportato gravi lesioni in tutte le parti del corpo non persi i sensi e potei vedere un viandante di Cuneo, rifugiatosi nel nostro caseggiato al momento dell’incursione, rotolarsi a terra e gemere disperatamente tenendosi una gamba sanguinante ed insensibile ad ogni sollecitazione. Gli venne poi amputata e rividi quella persona a fine guerra allorché, diretto a Roma da De Gasperi, ripassò perché gli rilasciassimo una dichiarazione sulle cause della sua ferita ai fini pensionistici. Ebbi l’impressione che il trauma conseguente la grave ferita gli avesse nociuto anche alla testa. Io pure dovetti subire l’amputazione di un arto inferiore e per questo non ho ancora cessato di maledire i piloti americani che si divertivano a bombardare anche le abitazioni.
Quando il 25 aprile tutti corsero ad applaudire le truppe alleate che transitavano sulla via Emilia io vi andai senza entusiasmo e non riuscii ad offrire loro neppure un sorriso.