Testimonianza relativa al bombardamento del 14 ottobre 1944, riportata nel volume di Barbieri “La popolazione civile di Parma nella guerra” op. cit., p. 207
C’era una nebbia fittissima quella domenica e “La Campagna”, un’enorme corte di oltre cento biolche, era completamente immersa nella grigia ed impalpabile coltre che avrebbe dovuto preservarla dai pericoli aerei. Erano le 10.30 ed io ero intenta a preparare il bagno a mio figlio quando udii all’improvviso un lontano rumore di aerei e subito dopo mi sono sentita sprofondare in mezzo a polvere e macerie. Ferita, non ebbi neppur la forza di reagire e, sbalordita ed incredula, pensavo fosse giunta la mia ultima ora. Un passante mi soccorse e mi portò all’ospedale. Nel crollo erano rimasti uccisi i Ronchini ed i proprietari del fondo, Barbieri Enrico e la moglie Corti Enrichetta. Nella stalla decedette mio padre, mentre mio fratello Cornelio [Pacchiani], che era nello studiolo del padrone per i conte, fece la stessa fine dei Barbieri. Riportarono ferite di una certa gravità anche mia madre, mia sorella e la domestica dei padroni: queste furono protette da alcune travi che avevano impedito il loro schiacciamento. In tutto furono due le bombe che provocarono tale strage: una caduta sulla stalla e una sulla casa. La domenica successiva la corte venne colpita nuovamente, per fortuna senza provocare morti.
Testimonianza relativa al bombardamento del 17 aprile 1945 di Giarola, riportata nel volume di Barbieri “La popolazione civile di Parma nella guerra” op. cit., pp. 208-209.
Fu l’ultimo bombardamento su Giarola che già tanti ne aveva subiti nei mesi precedenti. Noi ci eravamo trasferiti in questa località da Collecchio, credendo qui di essere più sicuri. Stavo gironzolando, quel giorno, lungo l’argine del fiume e poche centinaia di metri dalla corte, pronto a nascondermi in un piccolo rifugio che avevamo costruito. Mentre mi avvicinavo a casa per il pranzo, scorsi quattro aerei scendere in picchiata sopra di me: mi gettai per terra e potei vedere la prima bomba uscire, lucida e sinistra, dal ventre del veicolo. Fu subito incendiata la cascina che alzò al cielo fiamme e fumo altissimi. Tutto si sarebbe risolto con gravi danni alla corte, poiché gli abitanti si trovavano nel caseificio che non era stato colpito; senonché il carosello degli apparecchi continuava sulle loro teste ed essi temettero di essere centrati da nuove bombe; pensarono quindi di raggiungere un rifugio poco distante, ubicato presso la fabbrica di pomodoro. Il breve tratto percorso allo scoperto permise ai piloti di mitragliarli impietosamente e di inseguire quei disgraziati fin dentro ad un minuscolo sgabuzzino dove avevano cercato disperatamente scampo. A me quel mitragliamento diede l’esatta impressione di un tiro a segno, quasi una sadica gara degli aviatori anglo-americani. Alcune delle vittime furono rinvenute bruciate e senza più nulla addosso. Rammento bene che una ventenne si salvò sotto i corpi dei Colacitti e di Cavatorta. La piccola Preti, di 3 anni, che era in braccio alla madre, durante l’operazione aerea era stata scagliata dentro un tombino ove morì annegata. Io fui il primo ad accorrere, ma in mezzo a quella scena raccapricciante non sapevo che fare: c’erano ovunque corpi bruciacchiati e coperti di sangue; si udiva qua e là qualche flebile lamento o urla disperate he attiravano l’attenzione dei soccorritori accorsi da ogni parte.